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“Appuntato
Pino, venga con noi!”. I partigiani di Tito irrompono nella
modesta casa del carabiniere, a Gorizia, mentre la famiglia è a
tavola. Il militare italiano capisce subito che quegli uomini
armati non scherzano. Mentre, a forza, lo trascinano fuori,
cerca di tranquillizzare la moglie Lucia; le grida di badare a
Romano e ad Adriano, i loro figli, e le promette che sarebbe
tornato presto. E’ il 13 maggio 1945. La guerra sta per finire e
la Venezia Giulia è in mano ai partigiani jugoslavi. Da quel
giorno, di Addelico Pino, casaranese, 44 anni, non si saprà più
nulla. Lo sfortunato appuntato dei carabinieri è uno dei 1.048
nomi di un elenco che il governo sloveno ha consegnato di
recente al Comune di Gorizia.
Sono tutti italiani assassinati
dalle truppe comuniste del maresciallo Tito e buttati nelle
foibe, le caratteristiche e profonde caverne della regione
istriana. “Era convinto che un giorno o l’altro l’avrebbero
portato via – racconta la signora Gina Perrone, nipote di
Addelico, figlia della sorella i Maria Emilia (96 anni) – prima
che sparisse nel nulla, alla zia Lucia diceva che forse era
meglio se lei e i bambini si rifugiavano qui da noi, nel Salento.
Lui era convinto che un giorno o l’altro l’avrebbero portato
via. Aveva capito che per loro, carabinieri e militari italiani,
l’aria cominciava a farsi pesante. Diceva che, con la zia e i
bambini al sicuro, per lui sarebbe stato più facile nascondersi.
Ma la zia – prosegue la signora – non voleva sentire ragioni. E’
rimasta a Gorizia perché non voleva staccarsi da lui ed era
convinta che, prima o poi, sarebbe tornato”.
A Casarano, oltre alla sorella Maria
Emilia, che ha qualche problema di salute, ci sono diversi
nipoti, tutti figli di fratelli o sorelle di Addelico. “Lo
chiamavamo zio Alladin – racconta ancora la signora Perrone –
perché noi bambini non riuscivamo a pronunciare quello strano
nome che il nonno gli aveva dato. Prima dello scoppio della
guerra, tornava ogni anno qui da noi per salutare i genitori e i
parenti”. Dopo l’arresto, la signora Lucia si informava
continuamente sulla sorte del marito, ma le autorità slave
cercavano di rincuorarla. “Se non ha collaborato con i tedeschi,
non avrà nulla da temere”, le rispondevano. “La zia – ricorda la
nipote – ha sperato fino al giorno della sua morte che sarebbe
tornato”.
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